LA DANZA DELLE CATENE Saggio critico di Lucio Cabutti - Studio improvvisart - To
La sua origine spaziava dalla terra, in cui veniva forgiata, al cielo di Giove dove era risalita già nei tempi di Omero; poi, è ritornata sulla terra dove era stata inventata dal genere umano, divenendo di volta in volta segno di schiavitù o di liberazione: l'immagine della catena che spicca nelle opere di Maria Grazia Fiore attraversa epoche e sistemi sociali, leggenda e storia. Alla fine degli Anni Novanta la pittrice punta su questa struttura iconografica, ma anche sulle sue versioni verbali, per suggerire una chiave di lettura dei propri quadri rispondente a una spiegazione immediata. Tale senso intenzionato, non esclude giochi di significati e intrecci di forme più indiretti all'interno dell'opera, che nasce come riflessione visibile ma si addentra insieme, per la natura stessa del procedimento creativo, oltre lo schermo riflessivo della visibilità. Anche Maria Grazia Fiore sottolinea il ruolo giocato dalla catena, in una interazione costante fra le parole ed immagini, come simbolo polivalente ed emblema ambiguo, quindi, e ogni volta ridefinibile, dei legami che uniscono le persone in termini positivi oppure negativi al di qua del bene e del male, e che bene o male li raffrenano in argini etici e sociali. La catena diventa per lei il banco di prova della connessione civile, l'oggetto investito di significanza spirituale, la figura conoscitiva delegata a rappresentare la specificità del linguaggio artistico fluidamente identificabile nel tutto come nello opposto di tutto. In una testimonianza sulla propria concezione dell'arte la pittrice evidenzia con lineare chiarezza queste risonanze allegoriche visualizzate dagli anelli di una catena, e riattiva così un'antica convergenza di percezione e scrittura che si ritrova inoltre, del resto, nella titolazione dei suoi quadri. Compare già nell'Iliade, fra l'altro, tutta di nobile metallo prezioso, al centro di una mitologica sfida. "Appendete pure al cielo una catena d'oro, e tiratela tutti, dei e dee", diceva infatti Zeus, dio della luce e dello spirito non più caotico ma organizzato e autoritario, alle altre divinità che aveva riunito sul monte Olimpo per riaffermare il proprio assoluto potere, "ma non riuscirete mai a portare dal cielo alla terra Zeus, il Supremo Signore, malgrado tutti i vostri sforzi. Se però io volessi tirarla davvero, vi trascinerei invece tutti su in cielo, terra e mare compresi, facendovi fluttuare umiliati nell'aria. Dipingendo catene, Maria Grazia Fiore si avvale quindi di un oggetto investito, attraverso i millenni, di sensi traslati, allegorici e simbolici ricchissimi di implicazioni letterarie e ottiche spazianti dalla esperienza reale all'emergenza fantastica e alla condivisione sacrale. Avvalendosi di significati soggetti a traslazioni nell'arco di una comunicativa metaforica e vettoriale, Maria Grazia Fiore vive la propria attività artistica come un messaggio accentuatamente investito di valori che travalicano i confini della pittura e del quadro. Per guardare a un progresso interiore ed esistenziale, e contribuirvi attraverso il proprio linguaggio estetico, la forma verbale e la verbalizzazione delle immagini assumono una importanza prioritaria nei confronti della forma visiva e visualizzabile inverata nell'opera. Si può dire, anzi, che l'intenzione dichiarata dalla pittrice agisca attraverso un insieme interattivo di parole e immagini, dove il titolo del dipinto ne diviene parte integrante. Questo non significa, naturalmente, che il risultato pittorico venga sminuito dalla sua enunciazione in una prospettiva etica, né che la sua qualità venga accresciuta dalla più estesa globalità del proprio senso. Significa invece che l'artista tende a una consapevolezza ragionata del fare arte, prospettandola manifestamente come "veicolo per un mondo migliore" . E che la sua coscienza di testimone (ma anche di interprete e di critica) della propria creatività antepone quindi l'assunto umanitario a quello deontologico e al loro senso globale, alla compiutezza tecnica. L'impegno comunicativo mira così a dilatarsi in una ipotesi di presenze e interventi più generali e vissuti. Fra i dati biografici della sua formazione, una esperienza di studio contribuisce alla individuazione di riferimenti e di tecniche sviluppabili nella pittura. Maria Grazia Fiore ha frequentato a Torino l'Istituto Moderno di Cultura Artistica, dove materia come interior - design, fotografia d'arte, pubblicità e grafica pubblicitaria possono avere costituito di riflesso un aggiornamento tecnologico nei confronti di una concezione tradizionale e modernamente classica della visibilità. L'estetica dell'ambientazione e il linguaggio della promozione, ma anche la peculiare medialità della forma grafica e la referenza della fotografia, hanno trasformato negli ultimi due secoli il mito stesso dell'operare pittorico; e i contraccolpi di questi mutamenti si avvertono anche in specifiche soluzioni espressive praticate nel presente: come avviene nella crescente interazione fra parole e immagini, per esempio, indotta di certo più dallo sviluppo tecnologico multimediale che dalla consuetudine antica di scritture in dipinti; o nello accostamento di frammenti ottici e di piani percettivi, consonante con l'attuale"paesaggio" dell'informazione in edicola e in rete non meno che con l'impaginazione spazio - temporale di remota origine cubofuturista; oppure, ancora, nella configurazione scenica dell'opera, allestita come contenitore di memorie, identificazioni del presente e proiezioni nel futuro. Emblema di collegamento non solo fra la terra e il cielo come cantava la citazione omerica ("Iliade", 8, 18-28), la catena è una voce iconografica che nel corso dei secoli e dei millenni risulta abbinata a molteplici e anche opposti significati. Attraverso i mutamenti storici dell'immaginario, e nella continuità degli stereotipi massificati, le catene sono riemerse ripetutamente come sinonimi del potere non solo mitico o divino, dell'oppressione, dei legami violenti fra dominanti e dominati; ma più di rado sono state anche riabilitate come segno di unione, solidarietà, riconciliazione universale, inoltre alternandosi a volte con l'analogo ruolo iconografico della corda e dei nodi. Nella voce del vocabolario, questo doppio senso risulta più forte ed esplicito, e privilegia quantitativamente i significati positivi. La chiave letteraria, più di quella iconologica, si addice quindi ai dipinti di Maria Grazia Fiore ben oltre i loro titoli. Nella fraseologia esemplificativa e nelle citazioni di autori che illustrano gli usi semantici della parola trattati dai vocabolari, inesauribilmente, c'è il portare una catena d'oro al collo per ornamento ma anche l'essere in catene, le catene dell'amore e quelle di affari, di solidarietà e di distribuzione, di montaggio e di sventure, dell'orologio e della fortuna, lo spezzare le catene e lo stendersi in catena dei militari per il combattimento...E Mircea Eliade ricorda "il testo di Platone sugli uomini burattini di Dio e la corda d'oro della ragione", mentre Jean Chevalier e Alain Gheerbrant nel loro "Distionnaire des symboles" (Laffont e Jupiter 1969, e Rizzoli, Milano 1986) concludono che "la catena rappresenta la necessità di un adattamento alla vita collettiva e la capacità di integrazione al gruppo... e niente è forse più difficile, dal punto di vista psichico, che sentire l'indispensabile legame sociale non come una catena pesante e imposta dall'esterno, ma come un'adesione spontanea", La pittura di Maria Grazia Fiore ostende catene di volta in volta massicce, policrome, bianche, sottili, trasparenti. A cangianti e tragici nodi ed intrecci di "catene" si dedicava nel secolo scorso Christian Friedrich Hebbel. Nella sua opera di drammaturgo il ruolo storico di alcuni personaggi consiste appunto nello spezzare la schiavitù di mentalità repressive e superate, provocando però così anche una crisi dell'ordine cosmico, che si ricompone attraverso l'annientamento dei personaggi stessi al termine della loro parabola. La ribellione alle metaforiche catene in nome della libertà si avvicenda ad altre catene che sacrificano l'individuo se non la metamorfosi della storia. E questa concezione tendenzialmente positiva, armonizzante e ordinata di una catena delle relazioni umane che in definitiva trionfa sulla positività stessa, eroica quanto fatalmente precaria, dello individuo scatenante, entra in gioco tra i riferimenti discorsivi della pittrice: Maria Grazia Fiore chiarisce infatti il proprio modo di intenderla citando l'affermazione di Hebbel, secondo cui in una catena di persone ogni anello diviene importante, primo o ultimo che sia, perché "contano tutti l'uno per l'altro e gli ultimi sono come i primi". Il repertorio delle opere inscena un vocabolario visivo articolato ed organico. L'assemblaggio dei termini si verifica in schemi compositivi graficamente orchestrati e nitidamente stratificati. Alla messa in posa dei dipinti, precisa e ordinata, le immagini delle catene partecipano cariche di significati forti ed espliciti, che i titoli dei quadri non mancano di sottolineare sovente attraverso allusioni ulteriori a stati o a moti dell'animo contrastanti e riconciliati. Già "La danza della vita", imperniata su una figura ambientata in uno scenario che spazia dall'atmosfera naturale alla pagina bianca, si ricollega nel titolo al clima di un simbolismo storico in cui anche le catene di Maria Grazia Fiore ritrovano consonanze ampiamente omologhe e storicizzate: gli anelli della catena bianca orizzontale, la presenza iconica nella molteplicità di allusioni materiche e smaterializzanti che la circondano, e l'interazione stessa fra esistenza e linguaggio esteticamente formalizzato, si invertono insieme di implicazioni discorsive e di riconferme verbali. Riferimenti alla "Danza della vita" e al cammino della nostra vita si avvicendano nella titolazione del ciclo pittorico realizzato negli ultimi Anni Novanta. Ne è l'esempio più emblematico la grande immagine unitaria articolata su tre supporti modulari accostati come in un trittico, "Asperità lungo il cammino", dove la scansione plastica del rilievo dipinto viene ripercorsa, al di là della cesura centrale, da una catena policroma per trasparenza ma anche per trasmutazione simbolica della luce nel colore. Un altro quadro suggerisce mediante il titolo una lettura "tra verità e menzogna", mentre "Introspezione" (in cui la catena segna il collegamento verticale tra un bianco che non esclude il nero e un nero che non esclude il bianco né il rosso tramandato dalla tavolozza alchemica) riafferma ancora una volta questa coincidenza della struttura e della lettura del dipinto con la testimonianza traslata di un itinerario spirituale. Il viaggio proposto da Maria Grazia Fiore spazia dall'ascolto interiore alla percezione del mondo. Il percorso allegorico all'interno dell'opera e insieme al di là di essa risulta costantemente misurato, investito di emotività soffusa, raccolto nella propria formatività ostensoriale. La pittrice è sensibilmente riservata quanto basta per evitare ogni slittamento clamoroso o enfatico. Le catene dipinte di Maria Grazia Fiore si ostendono nel silenzio, tese orizzontalmente nella scena o inclinate appena, oppure vi si cristallizzano come fili a piombo, dove la forza di gravità diventa reversibilmente anche ascensionale, in un arresto del tempo solidificato, sospeso e immobile. "Proprio adesso un frammento di tempo fugge via!", diceva una volta Paul Cèzanne: e aggiungeva: "Catturarne la realtà in pittura! Per farlo, dobbiamo escludere ogni altra cosa dalla nostra mente. Dobbiamo diventare quell'attimo, fare di noi un registratore sensibile". Nella congiuntura impressionista, e subito dopo, il senso dell'istante fuggitivo assumeva una nuova rilevanza comunicativa e vitale. Dalla esperienza in spazio e in tempo reali alla sua svolta verso le dimensioni non meno sfuggenti della memoria e della previsione, altrettanto immerse nel fluire del tempo, il passo è breve. Una sensibilità da registratore come quella operante nella cattura ipotizzata dal suggerimento cezanniano, grazie all'estrema immediatezza, riesce a fermare metaforicamente il tempo: ma non può impedire all'immagine registrata di rifluire a sua volta nel tempo affidandosi, come istantanea, alla continuità della memoria e alla discontinuità del contesto iniziale, soggette entrambi alla deriva della loro mutazione storica nell''ipertesto anche alieno di ulteriori tempi e di altri contesti. Con l'equilibrio compositivo posto adesso in opera, Maria Grazia Fiore ferma così la realtà dell''istante e la riafferma salvandone anche il senso più effimero dell'atmosfera; ma subito ne intreccia insieme la valenza immediata in un tessuto di relazioni con altri istanti, che ritrovano in forma diversa la trama e l'ordito assemblanti del ricordo evocabile e della durata. Estensivamente la pittrice vive il tempo come occasione di immagine, referenza esistenziata di tutti i giorni, sedimento di attimi. E così i suoi quadri arrestano il tempo per sentirne l'influsso inesauribile in un gioco di stratificazioni cronologiche variegato e aperto, e per trasmetterne i significati in puntuali costruzioni sceniche mirate ad agire nel tempo come naturali oggetti visivi. "Vorrei rinunciare del tutto alla parola", insinuava Johann Wolfgang, von Goethe "e come la natura organica dire ciò che ho da dire disegnando". Maria Grazia Fiore spazia dalla natura organica alla natura artificiale, al disegno, alla grafica e alla virtualità della simulazione e della parola per focalizzare la propria visione pittorica. La sua concezione della opera è inclusiva, si avvale di tecniche diverse e accosta molteplici livelli di linguaggio, che interagiscono però nella configurazione unificante del dipinto. Simultaneità e strutture ambientali procedono insieme e di pari passo. Alla stratigrafia del tempo nell'ottica combinatoriale della memoria fa da contrappunto, in termini simili, la stratificazione dello spazio. Per Maria Grazia Fiore gli strati della comunicazione visiva rimangono differenziati anche quando confluiscono nell'insieme dell'opera. Ma la loro procedura di riferimento basilare rimane quella della percezione, e più in sintesi quella della visione immediata e immediatamente simulata sulla tela o sulla carta, che è poi anche quella della metaforica registrazione a cui alludeva già Cèzanne. Molto prima di Andy Warhol, infatti, in un'epoca i cui registri compilati a mano degli uffici e delle scuole prevalevano ancora sui registratori barografici del tempo e l'elettronica digitale rimaneva ancora sepolta nel futuro, Cèzanne guardava all'automatismo della fotografia per teorizzarne una nozione di incatenamento della realtà inteso come impersonale arresto del tempo nello spazio registrato dell'immagine. Ma per lui, e anche di più oggi per la pittrice dopo l'avvento del cinema, della televisione, del computer e della telematica e della videoregistrazione già all'interno della riconoscibilità ottica il dato percettivo appare trasmutato dalla memoria. Con la connessione di tempi e di spazi nel tessuto unificante dell'opera, Maria Grazia Fiore trasforma la tradizionale impostazione scenica del quadro in un insieme di relazioni fra differenti dati dell'esperienza ottica e della sua traduzione nei termini di una stesura estetica trasfiguratrice e correlante. Nel suo repertorio iconografico, dalla visibilità delle singole immagini, non mancano riferimenti alla natura, a incominciare da quelli al paesaggio derivati da cicli tematici precedenti. Ma ogni suo dato naturalistico tende a ripresentarsi in forma di oggetto, immerso nell'atmosfera come in una sorta di cosmica vetrina, dove i paesaggi dal vivo al simbolico e alle relative traslazioni non denotano cedimenti né soluzioni di continuità. Esemplare risulta, riguardo alla flessibilità dei significati, la molteplicità dei ruoli assunti dalle catene come protagoniste e chiavi interpretative dei dipinti. Di volta in volta visualizzate in una loro concretezza greve oppure all'estremo opposto della più cristallina trasparenza, queste catene attraversano inesauribili varianti di colore vivaci e bianchi estremi, collegano o slegano, si fanno irreversibili o sempre più esili, cariche di risonanze o azzerate, icastiche, mute. Intorno alla loro struttura dominante orbitano gli altri aspetti del mondo e dell'opera, che determinano, caso per caso, l'alchimia dei dosaggi fra necessità e libertà. Se "l'arte è un antidestino", come diceva André Malraux, le catene dipinte da Maria Grazia Fiore ne sono il presagio, la coscienza e l'esito. Nella grafica della pittrice il repertorio dei quadri trova le sue varianti più sintetiche e stilizzate. Nelle serigrafie, per esempio, Maria Grazia Fiore focalizza miniaturizzati apparati scenici che evocano grandi articolazioni ambientali con rigorosa incisività. E non esita a innescarvi una possibilità di variazione, che nella ripetizione della stampa si manifesta proprio nel motivo conduttore delle catene, su cui interviene dipingendo versioni diverse per ogni esemplare stampato. "L'arte è il luogo della perfetta libertà", sosteneva con eleganza André Suarés. E la sua producibilità del progetto estetico, si potrebbe aggiungere, non esclude automaticamente il gusto e la riaffermazione di questa inventiva peculiarità. Teatro di rappresentazioni in cui prevale la linearità orizzontale della terra, il quadro di Maria Grazia Fiore si apre però anche, negli ultimissimi Anni Novanta, alla verticalità che unisce (come per la mitologica aurea catena omerica) la terra al cielo. Impaginati in diagonale, anzi, alcuni dei suoi ultimi dipinti annunciano così una più fluida struttura dell'opera e una più positiva interpretazione del concatenarsi. La frontalità dominante in questo ciclo di opere si trasforma quindi in una più dinamica e fluttuante sequenza di punti di vista, e alterna alla naturalezza della forza di gravità un senso ascendente ma anche agravitazionale della forma e del suo librarsi in un contesto ambientale ulteriormente semplificato. Enigmatica, deliberatamente ambigua e investibile di molteplici e insieme opposti significati, l'immagine della catena rispecchia, drammatica oppure rasserenata, la congiunzione della necessità con la libertà che caratterizza la vita quotidiana. Il segnale artistico di Maria Grazia Fiore ne trasmette le potenzialità positive o negative con chiara coscienza etica e sperimentata consapevolezza estetica. Senza escludere, peraltro, quel margine di inesplicabilità che appartiene alla natura stessa dell'operare artistico e delle sue interazioni con una situazione civile e culturale più ampia e contrastante e contrastata. Dove alle catene della violenza e della solidarietà si affiancano tragicamente, proprio in questo ultimo anno del secolo e del millennio, le catene di scudi umani contro i delitti della guerra. (Lucio Cabutti)
|